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I diktat di Alessandro Cassinis

Alessandro Cassinis

Sino a poco tempo fa Alessandro Cassinis diceva candidamente di considerarsi un gregario di lusso.

Il vicedirettore vicario di tutti i direttori del "Secolo XIX". L'eterno numero due.
Anche stavolta l'editore Carlo Perrone aveva provato a trovare un direttore di levatura nazionale. Ma la direzione di un "Secolo XIX" asservito per il 70% a "La Stampa" non faceva gola a nessuno. E allora l'editore ha concluso: "Proviamo a promuovere Cassinis, che è arrivato da noi ragazzino e quindi conosce l'ambiente".
Cassinis sa di essere un uomo di desk e in genere preferisce far scrivere gli altri. Ma ogni tanto si ricorda di essere il direttore responsabile e allora si cimenta negli articoli di fondo. Però crede che il "Secolo XIX" sia sempre uno dei più importanti giornali nazionali, come quando era gemellato con "Il Messaggero". E  ritiene di poter dettare le direttive a chi governa. Parlando del presidente della Regione Liguria Giovanni Toti ha usato il verbo "deve", come se spettasse a lui comandarlo a bacchetta.
E' vero che per sfoggiare la sua cultura internazionale ha iniziato l'articolo con "una scanzonata poesia di Murilo Mendes",  ma questo non basta perché si debba prendere per oro colato quello che scrive.
Ad esempio ha criticato l'assessore Gianni Berrino, lanciando una sua proposta "Sarebbe saggio trasferire il turismo alle attività produttive o alla cultura, alla faccia del manuale Cencelli". Dimenticando che Toti ha scelto l'avvocato a Berrino perché per ben dieci anni aveva fatto (e con risultati lusinghieri) l'assessore al turismo del Comune di Sanremo e non in base al deprecato Manuale Cencelli.
Poi il dottor Cassinis affronta il problema del porto e annota: "Il presidente che arriverà dopo il commissario deve essere consapevole della dimensione internazionale del porto di Genova che non è un circolo dei soliti amici". E con l'autorità del suo pc, dopo aver elogiato giustamente il Vte (ma se avessero avuto gli spazi necessari, anche Aldo Spinelli e altri avrebbero ottenuto i risultati che ha ottenuto l'ottimo Gilberto Danesi) ha concluso con queste parole che ricordano tanto il punto di vista di Maurizio Rossi: "Il nuovo presidente non deve essere "uno di noi", come vorrebbero alcuni terminalisti, ma un uomo che sa di banchine, aiuta il porto di Genova ad essere efficiente e lo promuove nel  mondo. Non importa parli genovese. Ma l'inglese deve saperlo".
Visto che il direttore del "Secolo XIX" cita le parole di Augusto Cosulich, sembra una bocciatura di Sandro Biasotti (in favore di Maurizio Maresca?) ma anche in questo caso sarà bene che si aggiorni. A volere Biasotti non sono gli amici di merende (che, non dimentichiamolo, tante volte hanno orientato le nomine) sono gli stessi operatori marittimi, che vorrebbero vedere finalmente a Palazzo San Giorgio uno che conosce i problemi del porto. E se è per questo Biasotti conosce pure l'inglese.
Cassinis può sperimentarlo di persona. Ammesso che lui lo sappia.

Elio Domeniconi

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