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Night Bar: un bilancio da vite notturne

Teatro Duse

Nei suoi taglienti atti unici è facile perdersi. "Night Bar", tratto dall'opera di Harold Pinter,

è andato in scena al Teatro Duse di Genova. Uno spettacolo particolare, per certi versi ambizioso, sul quale vale la pena tirare le somme. Quello di Pinter è un teatro che molti definirebbero “difficile”. Nei suoi taglienti atti unici è facile perdersi: rischiare di dare troppo peso all’aspetto surreale dei dialoghi e alla loro ricorsività spesso comica, oppure finire con il concentrarsi quasi ossessivamente sulla crudezza che improvvisamente ne emerge. Indubbiamente in Night bar di Valerio Binasco c’è tutto questo e non solo.
Usando le stesse parole del regista per dare una breve descrizione, si potrebbe dire che si parla di: «quattro storie con un tema comune. Anzi con qualcosa di più che un tema: diciamo che tutte e quattro condividono un’atmosfera umana molto particolare, quella dei barflies, e hanno in comune un luogo, appunto un baretto notturno. Lo spettacolo è costituito da quattro momenti, dispersi nel tempo, della vita di questo luogo, sempre lo stesso, visto in quattro modi diversi».
Lasciandosi andare ad un eccesso di interpretazione si potrebbe dire che il sottotesto di questi quattro frammenti pinteriani sia direttamente la Vita tout court, con i suoi alti e bassi, con i suoi momenti di assurdità quasi comica, con la sua crudeltà senza senso.
I brani che Binasco raccoglie assieme in Night Bar sono 4 (Il calapranzi, Tess, L’ultimo ad andarsene e Night), composti in momenti diversi della vita di Harold Pinter, anche ad una discreta distanza temporale uno dall’altro.
In questa rappresentazione quindi, testi tra loro slegati si ritrovano ad occupare idealmente lo stesso luogo, lo stesso locale, in momenti diversi del tempo. La scenografia del bar viene trasformata, si adatta alle situazioni che prendono corpo a suo interno, diventando quasi qualcosa di più che semplice cornice; è come se il locale fosse il quarto attore in questa breve carrellata di storie, disperazioni e situazioni.
L’unità di luogo, in questo caso, è rigidamente rispettata mentre il Tempo si dissolve, si confonde, portando l’intero spettacolo in una dimensione di strana extratemporalità, dove è come se le storie narrate assurgessero a paradigma, guadagnassero una dimensione universale.
Qualcosa rimane alla fine di questo spettacolo, anche se non è facile parlarne; qualcosa che ha un gusto agrodolce di vita.
Il rischio di assistere ad una semplice raccolta  è in qualche modo evitato, anche se rimane un problema di approccio quasi fondamentale: non si tratta di cogliere un senso completo e definitivo, di assistere a qualcosa di organico e coerente. Altri spettacoli sanno essere più capitali, maggiormente didascalici nella loro unità, nella chiarezza dei loro intenti. Questo no.
Quella messa insieme da Binasco è una raccolta di suggestioni, spunti per riflessioni, porte da aprire e specchi dove vedersi riflessi. Questo può essere un bene o un male, a seconda del tipo di spettatore e di aspettativa. Sia come sia, un approccio del genere è senz’altro confacente con quella che si potrebbe chiamare la “poetica” di Harold Pinter.
Contestazioni di coerenza interna a parte, lo spettacolo scorre bene, anche per merito dell’ottima interpretazione di Nicola Pannelli, Sergio Romano e Arianna Scommegna che lavorano molto bene con un testo non facile, calandosi ogni volta con efficacia in panni diversi.
Ottime anche le musiche e le luci. I titoli dei vari pezzi che compaiono proiettati sulla scenografia come fossero delle insegne al neon sono un tocco di classe che risuona bene con l’atmosfera dei vari testi selezionati.

Corrado Fizzarotti

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