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Le demolizioni delle salite Tosse e Misericordia

Salita della Tosse

Dopo la vittoria alle elezioni comunali del 2017 i partigiani di Marco Bucci si esibirono in

un corteo che dalla loro sede in Piccapietra si diresse a Palazzo Tursi dove - quasi su emulazione dei protagonisti della congiura del Fiesco - innalzarono il grido di “Libertà! Libertà!”. Questo stava ad indicare che, dopo decenni di governi della città monopolizzati dai partiti della sinistra, si sarebbe avuto un governo di centrodestra. Ma il partito che nemmeno i sostenitori di Bucci sono riusciti a sconfiggere è quello del cemento. Trattasi di un partito trasversale super partes che non si occupa di ideologie o di confronti politici, come si evince dalle due più ignobili e devastanti operazioni urbanistiche del dopoguerra riguardanti il centro antico della città. La demolizione del quartiere di Portoria fu definitivamente avvallata nell'estate del 1950 dalla giunta social-comunista capeggiata dal sindaco Gelasio Adamoli, mentre quella di via Madre di Dio fu l'ultimo atto della giunta democristiana del sindaco Pertusio, alla fine del 1964. Bucci non ha voluto essere secondo a questi due suoi autorevoli predecessori e - nel suo piccolo – ha voluto mettere anch'egli la firma a un'operazione di mini “speculazione edilizia”, per dirla con Italo Calvino. Da qualche giorno, al posto dell'isolato che si trovava all'incrocio di salita della Tosse con quella della Misericordia (all'angolo di via San Vincenzo) – che da oltre settant'anni costituiva un pittoresco e silenzioso scorcio nel cuore della città - fa bella mostra di sé un discreto ammasso di macerie. Sono i frutti amari della recentissima demolizione dell'ultimo residuo delle antiche case che, prima della guerra, si spingevano per alcune decine di metri lungo la salita della Misericordia quasi fin sotto alle mura dell'Acquasola. Era l'ultima propaggine del centro storico orientale, parzialmente bombardato nel corso del secondo conflitto mondiale. Ormai non rimanevano che alcuni edifici a un piano (in uno dei quali si trovava una lavanderia) e un muro di cinta di pietra delimitante una folta macchia verde che si era fieramente impadronita di quello spazio per decenni lasciato al più completo degrado, in ormai perenne attesa di una definitiva “riqualificazione” (secondo il vocabolario “burocratese”). Infatti da non pochi anni era stato addirittura chiuso l'accesso alla salita della Misericordia che, al suo culmine, si ricongiunge con via Carcassi. Insomma, invece di liberarsi dalle macerie esistenti si producono altre macerie. Tutto questo ovviamente per sgomberare l'area in previsione dell'innalzamento dell'ennesimo ecomostro che si aggiunge agli altri più o meno recenti (la scuola di piazza delle Erbe, il palazzaccio di Sottoripa, quello della Cassa di Risparmio, tanto per fare qualche esempio). Un abnorme e anonimo edificio a sei piani che, nella insipienza del suo progettista, vorrebbe riecheggiare gli antichi edifici un tempo esistenti nella salita, colpiti dalle bombe anglo-americane. E meno male che Marco Bucci in un'intervista di qualche tempo fa si dichiarò favorevole al cosiddetto “diradamento” (uno strumento urbanistico risalente per lo meno agli anni Trenta, ormai considerato da tutti gli esperti assolutamente obsoleto): ove questo si è verificato “naturalmente” (onde si voglia considerare la guerra come evento “naturale”), non si lascia lo spazio aperto, ma lo si sommerge di tonnellate e tonnellate di cemento che incideranno negativamente anche sulla luminosità dell'area. D'altra parte la fregola delle demolizioni si è ormai impadronita del Primo Cittadino e della sua giunta. Era partito bene quando, con l'elmetto bianco in testa, aveva dato il primo colpo di piccone – come Mussolini sui tetti di Borgo Pio a Roma negli anni Trenta – a quel vergognoso muraglione di cemento, tirato su, a pochi centimetri dalle case di Lungomare Canepa, dalla giunta Doria.
Ma dopo la tragica vicenda del Ponte Morandi è cominciata la corsa alle demolizioni: le palazzine di via Tasso (colpevoli di aver sostenuto per oltre mezzo secolo quel surreale e mostruoso cavalcavia che non avrebbe dovuto passare di lì), il riesumato progetto di abbattimento dei padiglioni C (ex Nira) e D della Fiera del Mare (secondo i dettami del “Blue Print” di Renzo Piano), la ventilata distruzione persino di due edifici di origine medievale lungo via Pré e quindi il testé compiuto sventramento di salita della Tosse. Ma il clou sarà la demolizione pirotecnica con una spettacolare esplosione degli ultimi piloni rimasti in piedi del Ponte Morandi. Quando si diraderà il fumo dopo le conflagrazioni, Marco Bucci - come il “Nerone” di Petrolini - potrà finalmente affermare: “Ricostruiremo Roma (in questo caso Genova, n.d.r.) più bella e più superba che pria…. de cemento armato!” 

Aldo Padovano

 

 

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