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Aveva ragione Vernazza

Nicolò Scialfa

Domani i legali di Nicolò Scialfa, Guido Colella ed Andrea Vernazza, cercheranno di difendere il loro cliente davanti

ai giudice del Tribunale del Riesame. Ne chiedono la scarcerazione anche perché il provvedimento permetterebbe al professore-filosofo di ricevere il suo lauto stipendio alla fine del mese. Quindi è soprattutto una questione economica visto che l'intellettuale prestato (purtroppo, è il caso di dire) alla politica non è in carcere ma agli arresti domiciliari. E nella sua casa di via Giovanni Torti a San Fruttuoso può dedicarsi ai suoi amati studi. L'unico cruccio è quello di non poter più pubblicare su Facebook  le sue massime di vita, insegnamenti di alta filosofia.

Ovviamente i legali ignoreranno l'aspetto economico, si limiteranno al codice di procedura penale. Sosterranno che la misura cautelare deve ritenerci eccessiva in quanto non esiste pericolo di fuga e nemmeno di reiterazione del reato, ormai Scialfa non ha più a disposizione la cassa dell'Italia dei Valori, che gli ha permesso tante cene a sbafo e l'acquisto di vini francesi.

A Palazzo di Giustizia si dice però che le possibilità che Nicolò Scialfa riacquisti la libertà, ossia che il Tribunale del Riesame gli dia ragione, sono pressocché nulle. Questo perché, dopo l'interrogatorio di garanzia, le motivazioni con le quali il giudice per le indagini preliminari Roberta Bossi gli ha negato la revoca dai domiciliari. L'ha definito "evasivo, reticente e menzognero". Insomma, un vero e proprio harakiri.

Quindi, con il senno di poi, si può ribadire che aveva ragione l'avvocato Andrea Vernazza a sostenere che Scialfa avrebbe dovuto avvalersi della facoltà di non rispondere. Accettando di rispondere alle domande del magistrato, e per giunta rispondendo a quel modo, ha rovinato tutto.

Se i legali avessero potuto presentarsi al Riesame senza le dichiarazioni dell'indagato, avrebbero potuto impostare il problema solo sotto l'aspetto giuridico. Le motivazioni del gip dimostrano che Nicolò Scialfa si è dato, come suol dirsi, la zappa sui piedi. Quindi aveva ragione l'avvocato Vernazza a sostenere che non doveva parlare. Il preside (incaricato) del Liceo Doria era convinto di poter incastrare il giovane magistrato-donna con la sua dialettica filosofica. Ma la dottoressa Roberta Bossi (dei Bossi?) non è caduta nella trappola. Ha rigettato le argomentazioni di alta filosofia. Ha inchiodato l'indagato ai fatti. Ai vini francesi, alle cene a sbafo, ai viaggi di piacere nella sua Sicilia, alla gita ad Avignone per poter dormire nell'Hotel dei Papi.

La pacchia è finita. In nome del popolo italiano.

 

Elio Domeniconi

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