Papa Francesco, uno di noi

Papa Francesco a Genova. Nel riquadro, Dino Frambati
Aveva salutato con un “buon appetito” immediatamente dopo la sua elezione a successore di Pietro e si era definito venuto dall’altro mondo.
Immagine diversa dal solito mostrata al pianeta da chi rappresenta Dio in terra e saliva al soglio pontificio dopo due Papi immensi: Giovanni Paolo II, capace di mutare il senso della storia e dare alla Chiesa un’importanza enorme e di peso nelle decisioni anche laiche dei potenti, e Benedetto XVI, sommo teologo e illuminato pastore di anime, straripante di sapienza e intelletto.
Francesco pareva un sacerdote di portata planetaria ma che, nella percezione comune, poteva essere percepito come il parroco globale della Chiesa cattolica. E forse davvero così è stato.
Presuntuoso e difficile però per un giornalista pur ricco dell’orgoglio di militanza cattolica e di aver firmato sulle maggiori testate nazionali di tale ispirazione da oltre 40 anni, scrivere in qualche modo su un Papa ed un papato. Ma è invece segno di incontenibile emozione narrare di quanto prova l’uomo-giornalista che è credente ed ha avuto il privilegio di scambiare parole con Francesco, così come con altri Papi.
Non è semplicità ma sentimento profondo affermare che guardando negli occhi quegli uomini vestiti di bianco, si coglie un senso che non si riesce a spiegare quanto è forte.
Mi era accaduto con Giovanni Paolo II che aveva una tale forza negli occhi quasi da bloccare un attimo chi gli stingeva la mano, tanto quello sguardo penetrava ed era possente.
Un po’ diversa la sensazione con Francesco. Occhi che comunque non nascondevano una forza interiore che faceva davvero pensare come quell’individuo fosse stato scelto su ispirazione dello Spirito Santo. Ma carichi di bontà, di senso umano, di tenerezza anche se forte e determinata.
A lui mi avvicinai ovviamente con grande emozione, attento a cogliere quel momento che fa parte di quelli indimenticabili nella vita. Occasione era stata una giornata con i giornalisti che avessero cariche istituzionali e all’epoca ero vice presidente dell’Ordine in Liguria.
Emozione, titubanza e devozione di figlio che si accosta con rispetto al padre, che la sua stretta di mano, l’ascolto interessato alle mie parole, trasformarono immediatamente in dolce colloquio.
Quello era Papa Bergoglio, uno di noi; quello con cui ti saresti fermato a parlare di tutto, a prendere un caffè.
L’ho rivisto da vicino il 25 gennaio a Roma, Aula Paolo VI e Giubileo della Comunicazione. Era in carrozzina, appesantito dalla staticità forzata, alla vigilia di un lungo ricovero. Nei suoi occhi il senso di chi vive la missione fino a non pensare a se ma agli altri, anche se il prezzo umano di fatica pagato è altissimo.
Un uomo che soffriva e si vedeva, ma amava e l’amore era più forte di ogni personale cautela.
E’ morto il giorno dopo Pasqua dell’anno giubilare 2025. Quasi a voler lasciare al Cristo Risorto tutta la grande scena della maggiore e più esaltante festa cristiana.
E’ tornato alla casa del Padre; sarà sepolto in Santa Maria Maggiore, Basilica papale a due passi dall’hotel dove ho alloggiato fino al mese scorso e per tanti anni a Roma. Chiesa adornata dall’oro che il genovese Cristoforo Colombo portò dall’America.
Lascio ai colleghi esperti vaticanisti le notizie; come giornalista, oggi, preferisco comunicare commozione ed emozione.
Dino Frambati