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Il cronista sull’elenco telefonico

Cesare Lanza

Ci avete fatto caso? L'elenco telefonico ogni anno diventa sempre più piccolo. Perché tanti ormai usano solo il cellulare.

Ma anche perché molti chiedono di non comparire. Oggi è un diritto. Il diritto alla privacy. Un tempo solo magistrati e uomini politici ottenevano che i loro numeri di telefono rimanessero segreti. I giornalisti potevano ottenerlo solo in casi particolari.

Personalmente non figuro più sull'elenco dal 1984. Cesare Lanza mi aveva incaricato di seguire l'ennesima crisi del Genoa. Si era parlato di misteriose cordate svizzere, poi di emissari milanesi, poi si era scoperto che dietro poteva esserci Gianfranco Gadolla. Avevamo concluso che il Genoa sarebbe caduto dalla padella nella brace.

La nostra posizione era chiara: non vediamo l'ora che Renzo Fossati tolga il disturbo. Ma deve essere sostituito con gente seria. Di Fossati almeno sappiamo che ha i soldi (allora li aveva, oggi è nullatenente...) ed è un vero genoano.

Apriti cielo. Piero Sessarego sul "Secolo XIX" scrisse un editoriale offensivo contro di noi. E persino un personaggio mite come Francesco La Spina concluse che dovevamo querelarlo e fare un esposto all'Ordine dei Giornalisti. Il nostro ordine professionale lo censurò, i giudici del Tribunale lo condannarono (poi arrivò la solita amnistia).

I tifosi, però, si scatenarono contro di noi. Telefonate minatorie, giorno e notte. Qualche tempo dopo, a un pranzo di sportivi, mi capitò di conoscere l'unico Domeniconi che figurava nell'elenco telefonico (era di Sestri Ponente, ricordo). Mi disse: "Sapesse quante telefonate ricevo per lei. Se mi dà il numero di telefono, gliele dirotto". Gli spiegai che mi ero tolto dall'elenco telefonico proprio per non ricevere quelle telefonate.

Di telefonate di protesta ne ricevevo tante, alcune mi sono rimaste impresse. L'allenatore della Sampdoria Eraldo Monzeglio leggeva i giornali di prima mattina, poi mi avvisava che aveva già provveduto a protestare contro i vari direttori (che naturalmente mi dicevano di infischiarmene). Una sera mi telefonò anche Ernesto Bernardo Cucchiaroni, detto familiarmente Tito, al quale si sono ispirati gli Ultrà della Sampdoria. Mi disse perentorio: "Se ti incontro per strada ti metto sotto". Cosa avevo fatto per meritarmi una simile fine? Avevo semplicemente rivelato la sua storia d'amore con Edda Garlando di Calice Ligure che si esibiva come ballerina-cantante in un night di Corso Italia la "Rosa Azzurra". Mi aveva rivelato tutto la mia amica Marisa Brando, l'interprete di Cuccurucù Paloma. Cucchiaroni non ebbe il tempo di investirmi con la macchina, si trasferì in Brasile proprio con Eddy Garland, che rientrò in Italia alla sua morte.

Con il presidente della Sampdoria Mario Colantuoni ci mandavamo a quel paese un giorno sì e l'altro pure. Ma quando si trattò di vendere la sua casa di Boccadasse scelse me tra i vari pretendenti.

Un giorno arrivai a casa all'ora di pranzo e mia moglie mi avvertì che l'allenatore del Genoa Franco Viviani aveva già telefonato quattro volte. Voleva dirmi che siccome aveva tre palle come il Colleoni avrebbe spaccato la faccia a me e al mio amico Cesare Lanza. Io però non c'entravo nulla. Un giorno essendo a Santa Margherita eravamo andati a dare un'occhiata al Genoa che si allenava al Broccardi. Lanza, che all'epoca dirigeva i servizi sportivi del "Secolo XIX", era rimasto stupito da Viviani che faceva urlare ai giocatori, la famosa frase: "Com'è il cielo? Rossoblù". E aveva scritto un gustoso ritratto sul suo precedente giornale il "Corriere dello sport" chiedendosi se questo Herrera dei poveri era un vincente oppure un bluff.

Un'altra sera, quattro telefonate "da un certo Mazzone", mi riferì la moglie. Era l'ascolano Carletto Mazzone che era passato sulla panchina della Fiorentina. Su "Stadio" Alfeo Biagi aveva ironizzato perché a Firenze a suo figlio mancava l'aria di mare e io l'avevo ripreso nel Controcampionato sul "Guerin sportivo". Mazzone non aveva letto Stadio ma solo il Guerino e quindi se la prendeva con me.

Naturalmente telefonò poi anche a Biagi (era pure lui sull'elenco telefonico). Da casa Biagi a Bologna risposero che Alfeo era a Foggia. Non poteva che essere al "Cicolella" e telefonò a colpo sicuro. Biagi andò a rispondere. Mandò al diavolo il sor Carletto e tornò a gustarsi le orecchiette con le cime di rape.

Il giornalismo degli anni Sessanta era così. Più sanguigno, ma anche più genuino.

 

Elio Domeniconi

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