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Volo, giornalismo, punti di vista

Dino Frambati

Dall'alto la realtà appare diversa, più ampia e globale. Punto di vista per cui ciò che sembra, in basso,

in una certa maniera, appena ti...elevi, diventa sparso, variegato, differente da come lo scorgevi al..livello del suolo. Bello, panoramico, certo, ma anche tale da indurre a meditazioni e riflessioni a volte persino dissimili da quelle che hai quando tieni i piedi per terra. Riflessioni in libertà sulla natura, sull'ecologia. In particolare colpiscono i fiumi, maestosi, imponenti. Sembrano essere estemporanei al resto del mondo e ti domandi com'è possibile che quelle lunghe strisce che vagano in un percorso apparentemente inspiegabile possano fare tanto male quando si gonfiano di acqua. Ma anche riflessioni sugli uomini che scorrono a...piano terra la loro vita, esplicano le loro attività, agiscono nel bene e nel male. Piacere e sofferenza che pensi esistano in tutti gli agglomerati che sorvoli, che ti passano sotto. Mille storie uniche, speciali, banali, interessanti, ripetitive o magari particolari che potrebbero essere raccontate. Perché questa è la vita e questo il mestiere di fare informazione, essere giornalista. Un mio vecchio caporedattore di Avvenire, Luciano Riccomini, cresciuto all'allora Giornale di Montanelli e poi passato ad Avvenire quando questo aveva sede in via Mauro Macchi a due passi dalla stazione di Milano, ripeteva: “le notizie ci sono e ce ne sono tante. Siamo noi giornalisti che non le troviamo o non ne troviamo che una minima parte”. Me lo diceva quando qualche collega tornava in redazione a mani vuote o con poca roba da pubblicare, o era roba banale, conosciuta dai più e, quindi, poco notizia. “Vecchizia” la definiva un altro mio buon e grande maestro. L'indimenticabile Luigi Vassallo, direttore a lungo de “Il Cittadino”, quotidiano della Curia nell'era Siri e poi, quando questo chiuse i battenti di via Serra, a capo dell'edizione genovese del sempre allora montanelliano “Il Giornale nuovo”. E il “dottor” Vassallo, come lo chiamavano noi collaboratori, dolce burbero perennemente con una Gauloises senza filtro tra le dita (ne fumava credo tre pacchetti al giorno) indicava anche in tre specifiche qualità quelle necessarie ad essere un buon giornalista: senso della notizia la prima, perché, mi diceva, se non si sa trovare la notizia non si è giornalisti. Saper scrivere in italiano la seconda, perché, assicurava già 35 anni or sono, non è per nulla scontato che chi fa questo mestiere sappia scrivere. Ed infine l'umiltà. Non ultima ma forse prima, diceva Vassallo, accennando un sorriso. Questo lavoro, affermava, dà potere ed è facile esaltarsi, montarsi la testa e sentirsi fortissimi. “Non si deve fare mai. Si rischia di cadere”. Buoni maestri appunto. Chissà cosa direbbero oggi, assistendo a certi talk show televisivi o leggendo certi pezzi. Assistendo a questa overdose di informazione che ci ha mostrato la caduta delle torri gemelle in diretta e la fine di Gheddafi filmata e quindi descritta e mostrata da un giovane magrebino che certo non era giornalista.

Dino Frambati

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