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Il ponte che ci ha spezzato il cuore

Dino Frambati

Quello di oggi è un ritorno dalle vacanze per una ripresa quasi a pieno regime della

quotidianità di vita e lavorativa molto particolare e forse persino unico. Quanto accaduto il 14 agosto è una sorta di spartiacque tra due momenti storici che tocca profondamente e che muterà indubbiamente persino le nostre abitudini più banali. Di noi genovesi e liguri in primo luogo, ma anche di buona parte dell'Italia. Lo dico da giornalista sulla soglia dei 40 anni di professione durante la quale ho descritto cose che mi parevano incredibili e impossibili, strane, originali, devastanti ma questa notizia del ponte crollato alla vigilia di Ferragosto credo che sia la madre di tutte le vicende. Immensa da narrare, difficile, complessa, ha mille volti e mille aspetti, tanto che farne un titolo o una sintesi è impossibile. E' da seguire passo passo e se ne scriverà tanto come di nessun'altra notizia forse al mondo. Ancora oggi scriviamo della guerra del secolo scorso, che venne raccontata da chi non c'è più. Ma noi giornalisti contemporanei ricordiamo anche come, soltanto la settimana scorsa, abbiamo scritto ancora di inchiesta e seguito il G8 del 2001. 17 anni dopo! E quindi del ponte se ne scriverà persino quando saremo...trapassati.

Però queste sono quisquilie, piccole cose davanti alla strage di 43 persone, al pari delle tragiche conseguenze di un terremoto, di un disastro aereo, più di una violentissima alluvione o di un attentato terroristico di particolare crudeltà ed effetto. Di per se conseguenze tanto drammatiche da commentarsi da sole. Però appare impossibile rilevare come la vicenda del ponte sulla A10, che comunemente era detto “sul Polcevera”, ha avuto un impatto emozionale maggiore di vicende con magari anche più morti: è stato sentito nel cuore e nell'anima della gente in una maniera pesantissima, emotiva al massimo. Me ne sono reso conto dai moltissimi contatti con persone lontane da Genova, persino dall'estero. A mezzogiorno meno un quarto del 14 agosto ero in vacanza da tre giorni. I miei cellulari sono “esplosi”. Squillavano tutti e contemporaneamente: amici, giornali, media cui collaboro che mi chiedevano qualcosa. Ovviamente le mie ferie sono finite lì. Sia professionalmente ma soprattutto umanamente non potevo non esserci. Non essere sulla notizia, cercando di onorare il meglio dei doveri e dello spirito giornalistico, quando l'informazione è utile alla comunità. E mai come questa volta lo era.

Tralascio il vibrante senso di ricordi e pensieri di noi tutti su quante volte quel ponte si è percorso. Conosco chi ci è passato la sera prima, ci doveva passare prima o dopo il crollo. Ho intervistato tanti in questo senso, compreso un ragazzo piemontese che andava a trovare i genitori a Varazze e se non è transitato sul ponte al momento del crollo lo deve al fatto che non ha trovato parcheggio in autogrill sula A7 per bere una bibita ed allora ha deciso di proseguire. Un quarto d'ora dopo che c'era transitato, quanto presumibilmente sarebbe durata, tutto compreso, la sosta, il ponte trascinava sotto di se rovine e vite umane. Ed io stesso, lo avevo superato il sabato prima della tragedia, andando in aeroporto. In questo senso siamo tutti miracolati.
Ma se il fatto è di suo enorme, ha colpito tutti noi più di altro perché in autostrada andiamo tutti, perché è avvenuto in una data particolare per gli italiani, quando a tutto si pensa tranne che ad una catastrofe immane che porta lutto e mestizia. Perché la vigilia di Ferragosto, forse persino più che a Natale e feste comandate, la mente non vuole pensieri, ma solo fare festa, stare al sole, all'aria aperta, divertirsi. E che il fatto sia avvenuto in quella data ci segnerà per sempre. Non sarà mai più vacanza come prima. E poi il ponte spezzato ci ha fatto vedere all'improvviso e con incredibile concretezza qualcosa che sappiamo bene ma a cui non pensiamo quasi mai, quasi rifiutando il concetto: come sia sottile il filo che divide vita e morte e di conseguenza la vita sia qualcosa di assai fragile che se si costruisce con fatica e tempo, può volare via in un attimo. Perché la vicenda è forse unica a livello mondiale e colpisce più dell'11 settembre, dove c'era la mano dell'uomo, malvagia, cattiva e pure folle. Ma c'era il “cattivo” che faceva il male, la mano di Satana, orrenda ma che fa parte della vita che temi. Qui invece c'è un destino beffardo, totalmente assurdo e crudele. Un attimo prima o un attimo dopo è vita o morte; un rallentamento o un'accelerazione dell'auto e sei salvo o non ci sei. Un attimo perso in casa o anticipato mentre stavi per metterti in auto e la tua vita finisce lì o va avanti chissà quanto. C'è anche la colpa dell'uomo sul crollo. Certo. Ma in maniera diversa da altri eventi, anche se chi ha omesso di fare, sbagliato, sa in coscienza di avere responsabilità e pertanto rifletta su tutto questo. Magari non sarà un “cattivo” ma ha fatto peggio. Ha lavorato male e senza dare consigli morali, se ha cuore ne saprà soffrire da qua all'eternità. Per noi un muto ricordo delle vittime, il grido che Genova deve avere un nuovo ponte subito ma anche un plauso alla politica e chi governa perché stavolta, per una volta, ha messo cuore, intelletto e impegno efficace al servizio della comunità. Un miracolo del ponte. Bello, di buon auspicio. Il male esiste, c'è. Occorre sapersene tirare fuori perché da questo, a volte, nasca il bene: “dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior”....cantava il nostro mitico De Andrè.

Dino Frambati

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