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Il Ponte San Giorgio in anteprima

Dino Frambati

Il pulmino-navetta che trasporta i giornalisti dall'ingresso del cantiere Greto di Cornigliano al ponte di Genova alle ultime finiture, entra nelle gallerie off limits per tutti dal 14 agosto di due anni fa che scorrono sotto Coronata.

L'ingresso è dal casello di Cornigliano/Aeroporto, intasato e dove c'è coda a ricordare che, dopo la tragedia del Morandi, Genova e Liguria soffrono il disastro autostrade. Eventi diversi, atroce il primo con 43 morti, assurdo e al limite dell'inverosimile il secondo, ma che hanno umiliato la nostra parte d'Italia.

Le luci lampeggianti accese, seguiamo la Panda di scorta che ha lasciato il traffico diretta in A10 direzione Ponente, e transitiamo nella galleria di Coronata, bianca come un bambino alla Prima Comunione, bella come non l'ho mai vista. Loock rifatto. Si viaggia a velocità ridotta ma in pochi minuti siamo sul ponte a passeggiare sul nuovo asfalto mentre uomini e mezzi lavorano che sembrano formiche.

C'è il sole, fa caldo, la vista è su Genova e il suo mare e, verso Nord, a guardare la collina della Valpolcevera.

Il ponte appare magnifico, un capolavoro di progettistica (beh..grande Piano!) e di ingegneria. Italia eccellente nel lavoro, da imprenditori a tecnici, manovali e quanti al ponte hanno lavorato.

Indossiamo caschetto e giubbetto, come da norme di sicurezza e analogamente all'uomo che sta inginocchiato sulla mezzeria e con strumento adeguato controlla che la linea bianca divida le carreggiate in maniera precisa e millimetrica.

Il ponte San Giorgio è più largo del vecchio Morandi, sbriciolato da errori umani e logorato dal tempo, perché ha la corsia di emergenza in entrambe le direzioni, mentre la cartellonistica mi appare quasi come quella precedente e che ho visto scorrere le migliaia di volte che sono passato in auto su quel viadotto.

Anzi, a volte, se si eccettua la mancanza dei grandi archi del Morandi- ponte di Brooklin come lo chiamavano da queste parti, sembra di essere tornati allo stesso by pass valpolceverino.

Cammino nel lato Levante e guardo verso il raccordo con A7 e Genova Ovest. Finalmente, penso, basta Tir in città, ma un attimo dopo guardando il centro del ponte mi vengono i brividi a meditare cosa avranno pensato quelli che non possono più raccontarcelo, quando si sono visti la strada aprirsi davanti a loro e negli attimi in cui, forse senza neppure capire che cosa stava accadendo, ne sono stati inghiottiti.

Devo pensare che faccio il giornalista, che ho fatto per quasi 40 anni cronaca nera con cinismo persino eccessivo, perché sennò mi viene da piangere per quelle morti assurde, secondo volta nella mia vita che mi capita questa emozione sul lavoro dopo la prima per l'11 settembre, quando mi occupai di quella vigliacca strage degli innocenti per la parte aviatoria, intervistando piloti di Boeing ed altri.

Guardo Genova, il viadotto che sa di fresco come una casa appena costruita, la gente che lavora con sforzo che va al di là di ogni impegno e perizia per avere lo stipendio a fine mese, e quasi con amore.

Bella Genova e grande opera meritoria di imprese, operai, progettisti e dei due “gemelli del ponte”, Toti e Bucci che hanno fatto un lavoro straordinario.

Genova si riscatta con questo ponte ma lo deve fare anche con grande dignità, senza eccessi. Il San Giorgio nasce dalla morte di 43 persone sotto il Morandi crollato.

La “visita” finisce quando sono passate le 19 da qualche minuto per tornare all'ingresso del cantiere. Tragitto al contrario a bassa velocità nell'area del cantiere che presto sarà aperta a tutti e ritorno tra il traffico di ogni giorno. Il momento, per il lavoro made in Italy, è storico.

Ho vissuto un servizio come ne ha fatti a milioni nella mia lunga carriera di giornalista, ma stavolta sento più sentimento del solito. Orgoglio, tristezza, un mix che mi agita.

L'uomo distrugge, penso ma sa ricostruire. Facciamolo, ora, con noi stessi, dopo virus e crisi.

Dino Frambati

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