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La Via Crucis

Dino Frambati

Nessun riferimento religioso ma soltanto uno spunto, perché la “Via Crucis”, grande, sublime momento di Fede,

non potrebbe, di per se, essere accostata a null'altro di...profano. Ma viene spontaneo perché la Via Crucis, in senso economico e sociale, è quella che stiamo vivendo nella maggior parte degli italiani. E parto dalla nostra San Pier d'Arena per una volta; non da argomenti per editoriali sul macrocosmo ma sul micro di questa città nella città ed entità geografica, politica, che non ha forse pari in Italia e della quale, noi del Gazzettino, cerchiamo di farci portavoce, consci delle nostre dimensioni e dei nostri limiti, con umiltà ma determinazione ed orgoglio. Garantendo di persona, parola di direttore e vecchio giornalista, che protervia e presunzione non hanno accesso alla nostra redazione di volontari, che credono in questa parte del mondo, sapendo che ne fa parte integrante, non ne è meglio e né ingaggiando una battaglia di campanile, ma piuttosto cercando di migliorarla. Partendo da noi stessi e dai nostri difetti, per abolirli e iniziare a migliorare il mondo, migliorando noi: il famoso battito d'ali della farfalla in Australia che smuove l'aria in Europa. Detto popolare vero, ribadito persino giorni fa dagli scienziati Arpal quando, proprio presso la sede sampierdarenese di via Bombrini, ho tenuto con un corso formativo ai giornalisti sul meteo. E come “vox populi” di San Pier d'Arena non possiamo non raccogliere il grido di dolore che arriva dall'imprenditoria locale, fino a non molti anni fa un vanto per la Genova del lavoro ed un simbolo del ceto medio che si è sempre tirato su le maniche ed ha lavorato, essendo volano dell'economia generale. Oggi, ad arrivare qua in auto, moto, a piedi o in bus (quando se ne trova uno) la visione è spettrale: le serrande abbassate superano quasi quelle aperte e dove queste sono tirate su c'è il deserto. Nessun cliente, poca gente per strada. Ed avverto una stretta alla gola quando noto luci spente in negozi storici del centro San Pier d'Arena che erano di amici, ex benestanti e che per questa zona hanno fatto molto. L'hanno onorata, resa famosa, si sono impegnati in attività sociali e raggruppandosi spesso in associazioni pro delegazione. Ricordo l'Unione Operatori Economici alla quale appartenni prima di dedicarmi al giornalismo, cito questo stesso giornale che fu partorito e fatto crescere grazie agli imprenditori che vi credettero e vi appoggiarono la loro pubblicità e persino che ne furono redattori ed anime insieme ad altri. Cito chi non si rassegna: dalle donne di San Pier d'Arena di recente battesimo alla Pro Loco che almeno ci prova...come le Officine sampierdarenesi e tante altre associazioni di zona. Tuttavia impegno e buona volontà non bastano in questa Italia da delirio e di scellerata politica che ha distrutto il ceto medio ed il commercio; i cui governanti hanno favorito i grandi e potenti gruppi commerciali alla faccia del fatto che siamo una della nazioni socialmente più avanzate del mondo. Una politica insipiente che ha favorito vergognosamente capitali esteri e che millanta come questi creino posti di lavoro. Numeri veri ma, domando a voi e me stesso, con che stipendi? Con che sicurezza del posto di lavoro? Quando il tessuto commerciale era nel territorio, come peraltro accade tutt'ora nella più parte dei Paesi evoluti, c'erano molti piccoli imprenditori che lavoravano tanto e bene e valorizzavano i loro pochi dipendenti che erano bravi e se li tenevano stretti. In questo ciclo si creava benessere vero e non precario, non esistevano servi anonimi di capitali senza volto ma persone che lavoravano. Ed ora, gli eredi di quelle stesse ideologie becere sono quelli che vengono a parlare del ceto medio? Io credo che chi ha vissuto vedendo come nemico chi era piccolo imprenditore, dovrebbe avere il buon gusto di farsi da parte e tacere. Cito Winston Churchill, uno dei più grandi statisti mai esistiti: “Alcune persone vedono un'impresa privata come una tigre feroce da uccidere, altri come una mucca da mungere, pochissimi la vedono come è in realtà: un robusto cavallo che traina un carro pesante”. Non c'è stata questa mentalità per anni in Italia? E – badate – politici, tecnici e burocrati che hanno fatto norme e leggi negli ultimi decenni con i risultati di affossare l'economia italiana pur complice una crisi globale, non avrebbero mai costruito -mai – l'Italia del dopoguerra, dei nostri padri lavoratori, operai, impiegati, artigiani, commercianti, imprenditori di medio e piccolo cabotaggio. Replicherò in parte tali concetti lunedì sera, nell'editoriale in video che farò per Telegenova, perché se noi popolo sovrano (ah, ah!) riusciamo a scalfire poco il Palazzo, almeno proviamo a far sentire forte la nostra voce di dissenso. Globale, come la crisi.

Dino Frambati

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