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Competizione aggressività e violenza

Susy De Martini

I frequenti e sempre più numerosi episodi di aggressività e violenza, sia in ambito famigliare

che nelle competizioni elettorali o a margine di manifestazioni di carattere “sociale”, suggeriscono una rivisitazione profonda dei meccanismi che regolano nell’ordine: competizione, aggressività e violenza. Proviamo ad affrontare il problema da una prospettiva diversa.
Nell’era dei computer, dei satelliti spia, delle armi chimiche e nucleari, può forse apparire ridicolo partire dalla domanda che sto per porre: secondo voi, contiene più aggressività una partita di tennis o un match di boxe? Da un lato, infatti, risultano evidenti il candore delle divise bianche e la lontananza fra i due contendenti, rimarcata dalla presenza fra di loro, addirittura di una rete! Dall’altro è esplicita l’apparente violenza di due corpi seminudi a strettissimo confronto, senza alcuna forma di mediazione. Ma se analizziamo a fondo i nostri comportamenti e l’espressione corporea delle pulsioni più naturali dell’animo umano, vedremo che la risposta alla domanda iniziale non è affatto scontata.
Se è vero infatti che l’uomo può adattarsi a tutte le condizioni, è anche vero che bisogni quali l’aspirazione alla felicità all’amore e alla libertà sono fondamentali.
Per perseguire tali scopi, siamo diventati animali sociali e sono nate altre pulsioni: la competizione, sempre sana e l’aggressività, che è positiva quando permette di allontanare, usualmente si dice “scaricare”, lo stress ma che diviene molto negativa se fine a se stessa e pertanto distruttiva, per sé o per gli altri.
Purtroppo oggi, come sottolineato da Erich Fromm, lo spazio riservato alla competizione e quindi alle emozioni ed agli ideali ad essa collegati, è molto piccolo ed è spesso relegato alla “lotta” fra due Gruppi siano essi due Religioni, due Etnie, due squadre o due partiti. E’questo il significato simbolico di sport quali il calcio o di alcuni momenti della vita politica: le elezioni.
Come possiamo allora maturare “responsabilmente” e raggiungere un equilibrio fra le nostre pulsioni e la razionalità, fra competizione e aggressività, fra amore e odio? Possiamo farlo solo se capaci di scindere il legame fra noi stessi ed il Gruppo, o il “clan”.
Finché invece rimaniamo legati al Gruppo o al clan, alla “etichetta” religiosa o sociale, lo sviluppo della nostra ragione e della nostra individualità è arrestato: la persona dipendente dal gruppo è debole e non può sentirsi padrone della propria vita! Ed è proprio questa grande insicurezza che la rende aggressiva: al contrario un senso di maturità e di identità, basato sulla conoscenza e sulla indipendenza della propria forza, lo rende sicuro di sé.
Gli sport che esprimono una aggressività cosiddetta “mediata”, quali ad esempio il tennis ma anche molti giochi di squadra, non sempre consentono di dare sfogo a quel bisogno vitale di scaricare l’aggressività, attraverso la competizione. Addirittura questo tipo di sport potrebbe anche peggiorare situazioni di ansia e di stress e favorire l’insorgere di vere e proprie patologie nevrotiche: basti pensare ad alcuni tennisti ed ai loro rituali ossessivi, quali gettare a terra la pallina un numero fisso di volte, prima di effettuare una battuta, o alle intemperanze di alcuni calciatori in campo!
Questo avviene perché la necessità di scaricare le pulsioni è più forte in situazioni di costrizione e favorita da imposizioni: le regole. Per questo motivo anche regole “religiose” troppo strette inducono ben poca tolleranza verso gli altri.
E’ invece fondamentale, ai fini di una maturazione completa e responsabile, imparare a conoscere la propria “forza”, e a controllarla, anche attraverso una attività fisica, altrettanto atletica ma non “mediata”: come una corsa a piedi, o un bel giro in  bicicletta o una  nuotata, al limite un bel match di boxe, che consenta di scaricare lo stress proprio  in quell’ambito e non di portarselo addosso non risolto ed anzi proiettato, come un pesante  macigno, nell’ambiente di lavoro, nell’ambito famigliare, fuori dagli stadi o nelle piazze. E’ verosimile quindi che la violenza riemersa così prepotentemente, soprattutto fra i giovani, possa diminuire se la loro, più che comprensibile, forza/aggressività venisse incanalata singolarmente e non più solo mediata, attraverso le vicende della squadra del cuore, del partito politico o della religione prescelti.
E’ infatti giusto ed è bello tifare per un gruppo ma è fondamentale mantenere la propria autonomia, psichica e fisica.
Mi chiedo: le persone aggressive e violente praticano qualche sport? E se sì, quale?

Susy De Martini

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