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Quando la follia uccide

Susy De Martini

L’omicidio, a pistolettate, del giovane investitore di Roberta, da parte del marito, reso “folle” dalla morte

dell’adorata sposa, necessita di una inversione di rotta immediata da parte del legislatore. Infatti gli omicidi, i suicidi e le violenze, riconducibili ai cosiddetti “malati di mente”, rendono urgente una revisione della cosiddetta Legge 180: tanto per intenderci, quella che chiuse i manicomi ma non solo. Ogni volta però che qualcuno osa pensare di intervenire su questa legge, viene immediatamente bloccato da un mare di polemiche, se non di insulti. Perché?
Per questi quattro motivi:
1 - basse speculazioni politiche
2 - difesa dogmatica di teorie psichiatriche obsolete
3 - ignoranza della materia
4 - desiderio di mantenere una posizione di minor “rischio” personale e professionale.
Tutti e quattro i punti sono comprensibili, ma non accettabili. Non ne siete convinti?
Bertrand Russell affermava che: “il danno arrecato da una religione è di due specie: uno dipende dalla natura generica della fede, l’altro dalla natura particolare dei dogmi accettati. Per quanto riguarda la natura della fede, si ritiene virtuoso credere, avere cioè una convinzione che non tentenna di fronte ad evidenze contrarie e se l’evidenza contraria fa sorgere dubbi, ritiene di doverli sopprimere”. Queste parole, mi sembra aiutino a capire le ferme opposizioni a qualsivoglia modifica della Legge 180, da parte degli individui appartenenti alle prime due categorie che stiamo prendendo in esame. Per loro a nulla valgono i pressanti appelli, che ormai da più di 30 anni provengono dai parenti dei malati. Chiedono aiuto i parenti, spesso lasciati soli, soprattutto riguardo alla diagnosi ed alla cura di quei malati che non accettano di curarsi volontariamente e cioè la grande maggioranza di essi.
Scriveva Enzo Biagi nel 1997: “Abbiamo rotto lo specchio, i manicomi, perché non riflettessero la realtà, in nome della dignità personale. Come se i parenti dei malati di mente non meritassero rispetto ed aiuto. Quanti delitti in nome della libertà!”.
Ma è la terza categoria degli oppositori alla riforma della 180, quella degli “ignoranti” (ovviamente solo per la materia specifica) la più pericolosa, perché  non conoscendo bene il problema è in assoluta buona fede, è la più numerosa, ed è anche la più influenzabile dagli “slogan” di parte, nel caso si dovesse ricorrere ad un referendum.
Scrivo oggi, con la convinzione che chi non conosce a fondo il problema sia desideroso di apprendere anche altri aspetti di una “verità” troppo spesso comunicata a senso unico, nella “romantica” difesa della follia che può apparire poetica in una canzone, o in un film ma drammatica sulla pelle gelida di giovani e meno giovani, bambini o genitori (come accaduto recentemente) uccisi da fidanzati, mariti, genitori o figli malati.
Sono medico, ormai da quarant’anni, neurologo da 36, ho insegnato Psicologia Medica all’Università, effettuato una psico-analisi, ed esercitato la professione di neuropsichiatra anche in altri paesi: gli U.S.A. e la Francia. Ho vissuto la “crisi” della psichiatria tradizionale, la nascita della cosiddetta “antipsichiatria”, l’invasione, spesso accettata acriticamente, mentre negli altri paesi venivano già superate, delle teorie psicoanalitiche più disparate, fra le quali quella che arrivava a negare l’esistenza della malattia psichica classificandola come  un “fenomeno sociale”.
Ho visto utilizzare gli elettroshock e film-documentari  come: “qualcuno volò sul  nido del cuculo”, che sicuramente influenzarono anche i legislatori, nei lontani anni ’70 . Considero la 180, per molti aspetti, una legge innovativa e lodevole (come ancora affermato il 7 aprile 2005 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità), che ha trasformato l’assistenza psichiatrica da quasi esclusivamente custodialistica a terapeutico-riabilitativa. Ammiro iniziative come quella di Radio Rete 180: “la voce di chi sente le voci” nata a Brescia, e tantissimi altri progetti di grande valore umano che coinvolgono pazienti psichiatrici e sono diffusi in tutta Italia,  grazie alla buona volontà di molti operatori ed amministratori pubblici.
Mi sento però disarmata, nella pratica clinica, ogni volta che non  posso  dare risposte accettabili, né tanto meno soluzioni, a tutti quei genitori, fratelli o coniugi di pazienti affetti da gravi turbe psichiche, che l’attuale testo di legge lascia quasi completamente allo sbaraglio. E mi sento del tutto sconfitta per la morte di due giovani donne, Luciana e Antonella, proprio nella mia Liguria, accoltellate a distanza di un anno dalla mano di un folle, Luca Delfino, in libertà proprio per un vuoto normativo diventato quasi  una “licenza di uccidere”.
Infatti gli articoli della legge 180, recepiti nel dicembre dello stesso anno nella legge  833 (articoli 33, 34 e 35) hanno, di fatto, determinato che il malato psichico grave  sia altrettanto libero e responsabile quanto una persona sana!
Si scopre, paradossalmente, che non lo è solo nel momento in cui compie un reato, cioè quando, obbligatoriamente, si applicano, anche a lui, le norme del codice penale. Silvia Bencinelli, medico e giornalista, scrisse così: “…una legge dello Stato italiano ha riconosciuto in termini giuridici l’obsolescenza del concetto per cui il malato di mente è “pericoloso per sé e per gli altri”. Contestualmente all’approvazione della legge 180, fu anche espunto dal codice penale il concetto di pericolosità per malattia mentale!”.
Ma allora che strumenti abbiamo per prevenire i crimini commessi dai cosiddetti folli? Oltretutto spesso commessi su persone ancora più inermi perché legate a loro da vincoli di affetto!
L’Associazione per la Riforma dell’Assistenza ai Malati Psichici (ARAP) dal 1981  invoca urgentissime modifiche alla 180, fra le quali la configurazione di responsabilità civili e penali per quegli psichiatri che dimettono gli psicotici gravi e/o pericolosi. Implora l’ARAP: “Quanti pazienti sono morti proprio perché liberi di non curarsi?” E io aggiungo: quante sono le vittime innocenti a causa di queste mancate cure?
Alcune di queste istanze sono state raccolte nella proposta di modifica della 180 presentata dalla senatrice Burani (legge 174) mai andata in Porto, per le fiere opposizioni in Parlamento.
Più incomprensibili sono invece le ragioni dell’ultimo gruppo di “oppositori” alla riforma della legge: sono contrari moltissimi psichiatri, come mai?
Alcuni ricadono nelle categorie 1 e 2 ma i più agguerriti sono quelli che appartengono alla numero 4, quelli per i quali la legge va benissimo perché li esonera dai rischi o anche solo dai fastidi che una sua revisione  potrebbe comportare.
Infatti il ristabilire il concetto di: “pericolosità per sé e per gli altri”, del grave malato psichico, incredibilmente eliminato dalla 180 nella sua attuale versione, ripristinerebbe anche l’obbligo di segnalare il paziente giudicato pericoloso alle autorità competenti.
Giusto? Mi sembra proprio di sì: è comunque un mezzo (non certo il solo) per  prevenire eventi spesso fatali sia per il paziente che per i suoi cari.
E allora perché tante resistenze da parte delle associazioni degli psichiatri?
Non posso certo pensare che la categoria desideri evitare su di sé  “grane”, quali adempimenti burocratici ora assenti ed eventuali ritorsioni da parte dei pazienti, se segnalati all’autorità competente.
A questo proposito riporto solo un brano del documento redatto dalla sezione  Veneto della Società Italiana di Psichiatria: “…esprimiamo il nostro totale dissenso ad una proposta di legge (la cosiddetta proposta 174 della Burani di riforma alla 180) che sembra riappropriarsi di modelli culturali esclusivamente caratterizzati da una logica della custodia e della costrizione del malato mentale…”.
Giudicate voi, che adesso non ignorate più alcuni dei problemi legati alla urgente e   necessaria modifica di una Legge basilare ma dalle maglie troppo larghe, da cui sono passate troppe disattenzioni ed alcuni errori gravi, che continuano a provocare danni in primo luogo ai pazienti, ed ai loro parenti, ma anche a tutte le vittime, innocenti, della follia.

Susy De Martini

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