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Musso contro Il Secolo XIX

Il 4 novembre 2012 il “Secolo XIX” - che da molti mesi oscura sistematicamente tutte le mie iniziative parlamentari,

alle quali non ha dedicato una sola riga - ha ritenuto di destinare un’intera pagina a un articolo dal titolo “Musso l’ultima tentazione, studente ma con stipendio - chiede il dottorato con aspettativa pagata ma poi rinuncia”.

L’articolo evidenzia un chiaro intento diffamatorio, anche se - come spesso avviene in questi casi - è formulato con molte cautele e astuzie lessicali atte a tentare di evitare le azioni penali e di risarcimento da parte del soggetto diffamato.

In estrema sintesi, esso adombra che fosse mia intenzione dedicarmi per i prossimi tre anni all’attività politica percependo - in modo legittimo ma sostanzialmente “furbesco” - lo stipendio da professore universitario (che oggi non percepisco in quanto parlamentare). Ciò sarebbe stato possibile, secondo l’articolo, con l’espediente di una mia (sostanzialmente fittizia) partecipazione a un dottorato di ricerca, avvalendomi di una norma per altro difficilmente applicabile al mio caso, che mi avrebbe garantito il diritto all’aspettativa retribuita.

L’intento diffamatorio è evidente: se infatti, come sostiene il “Secolo”, la mia intenzione fosse quella di dedicarmi all’attività politica nel triennio del dottorato, per definizione non mi dedicherei all’attività di ricerca, quindi il mantenimento dello stipendio è indebito.

La strampalata tesi, totalmente congetturale e ipotetica, si regge sul contemporaneo verificarsi di una complessa serie di tre circostanze nessuna delle quali ricorre al momento (la mia non appartenenza al Parlamento, che tuttavia potrebbe ricorrere nel 2013; la mia partecipazione al dottorato, che avrebbe potuto ricorrere se avessi mantenuto la domanda che ho invece ritirato; l’applicazione di una norma che, come detto, dopo la riforma Gelmini non appare più applicabile al mio caso). Il prospettare la loro possibile coesistenza, indispensabile premessa per consentirmi di attuare la strategia che l’articolo mi attribuisce, è un’ipotesi remota e ormai impossibile che serve solo a sostenere il titolo ampiamente diffamatorio, completato poi dalle congetture su cui è costruito l’articolo. Fermo restando, beninteso, che quand’anche si verificassero contemporaneamente le tre circostanze, ciò non implicherebbe minimamente la mia intenzione o volontà di attuare la strategia imputatami. Quella furberia che, infatti, non mi era neanche passata per la testa, mentre l’articolista me l’attribuisce quasi naturalmente. Ma, si sa, “ciascun dal proprio cuor l’altrui misura”.

Ora, non mi è nota la motivazione di questo attacco, sorprendente per gratuità, aggressività e infondatezza. Lamento però due cose.

La prima: l’articolo è in malafede. Nel colloquio intercorso prima della pubblicazione, in cui mi ha solo parzialmente informato dei contenuti dell’articolo, l'articolista signor Bruno Viani mi ha detto di essersi convinto della mia buona fede, e che per questo motivo avrebbe scritto le cose in modo che ne “uscissi bene”. Poiché il testo è chiaramente orientato in senso opposto, significa o che è in malafede lui, o lo sono i suoi superiori che lo hanno indotto o costretto a questa redazione smaccatamente “colpevolista”.

La seconda: l’articolo getta fango, senza alcuno scrupolo, su un’intera vita di lavoro accademico, durata ininterrottamente dalla laurea, conseguita nel 1984, e che mi ha portato oggi a essere professore ordinario confermato, autore di oltre 150 pubblicazioni scientifiche, direttore di una delle riviste scientifiche più prestigiose a livello mondiale, già presidente nazionale e copresidente mondiale degli studiosi della mia materia. In più, la congettura dell’articolo presuppone una mia tendenza a lavorare meno del dovuto, o comunque il meno possibile, mentre tutto il mio curriculum universitario dimostra il contrario, avendo io assunto negli anni, attraverso supplenze rigorosamente gratuite, un carico didattico fino a sei volte quanto mi era richiesto dalla legge, senza alcuna retribuzione aggiuntiva, e senza che ne abbia risentito l’attività scientifica, come dimostrano gli indici bibliometrici applicati alla mia produzione scientifica.

Questo deliberato killeraggio mediatico è forse un tentativo del “Secolo” di recuperare il drammatico calo delle vendite con una linea editoriale sempre più aggressiva e scandalistica. Una linea che a mio avviso non è la soluzione della crisi di mercato ma ne è forse addirittura la causa principale.

Resta però la mia profonda amarezza per il fango gettato su una vita dedicata allo studio e all’insegnamento, il cui valoreanche gli avversari politici, diversamente dal "Secolo" hanno sempre lealmente rispettato e riconosciuto.

Considero questo articolo profondamente scorretto e lesivo dell’onorabilità mia e delle istituzioni in cui presto servizio. Per questo motivo sto valutando i provvedimenti da assumere a tutela della onorabilità mia e delle istituzioni che ho l’onore di rappresentare.

Richiamo l’editore e il direttore del quotidiano “il Secolo XIX” a un maggiore rispetto dei fondamentali principi deontologici e morali che dovrebbero sempre guidare una professione importante e delicata come quella del giornalista.

ENRICO MUSSO

 

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