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Il Belsito di Bossi

Francesco Belsito, ragazzo sveglio, nel 2002 capì che in Forza Italia avrebbe fatto poca strada. Alfredo Biondi era ormai

in declino, nel partito dominava Claudio Scajola. Eppoi davanti a lui nello staff dell'ex vicepresidente della Camera c'era pur sempre Lorenzo Zito che era già consigliere provinciale.

Mi ha raccontato Biondi: "Belsito venne da me. Mi disse che aveva la possibilità di entrare nella Lega Nord dove avrebbe potuto far carriera. E io gli risposi che non doveva sentirsi obbligato nei miei confronti. Anzi gli augurai buona fortuna".

All'inizio si era inserito nella segreteria di Francesco Bruzzone, che era l'indiscusso leader, alle elezioni prendeva sempre tanti voti, i voti dei cacciatori. Poi si dirottò su Chiavari, anche per entrare nelle grazie di Maurizio Balocchi, il super-tesoriere che cominciava ad avere problemi di salute. E lui puntava in alto, si era accorto che non c'erano grossi calibri. Bruzzone, prima di far carriera politica con la Lega, lavorava in Comune, qualifica di bidello.

"Io punto su Roma, mi confidò. Questi della Lega sono cattivi. Meglio starne alla larga". Andava però d'accordo con Bruno Ravera, il padre putativo. Una volta ero in via Macaggi, alla fermata dell'autobus, aspettavo il 42 per tornarmene a Boccadasse. Mi vide e mi trascinò su nella sede della Lega: "Vieni, abbiamo organizzato una festicciola per Ravera che compie 80 anni". Lo seguii volentieri perché sono amico di Ravera dai tempi del Lido quando con il fratello gestiva la tavola calda. Con Ravera la Lega era diventata il primo partito di Genova, apriva una sede dietro l'altra. Lui si considerava il primo degli attacchini ma in realtà era la mente del movimento. Era diventato consigliere regionale, un bell'assegno tutti i mesi.

Nel frattempo entra con i "duri e puri" anche il mio amico Remo Benzi, il mitico comandante dei Vigili Urbani. Lo accompagnai alle Terrazze del Ducale dove veniva presentata la squadra per le elezioni. A fare gli onori di casa c'era anche Belsito con la sua bella cravatta verde. Mi riempì di gadget, compreso il disco con l'inno. Finita la manifestazione regalai tutto a Benzi, che credeva di aver trovato nella Lega il suo habitat naturale e sperava di essere eletto con i voti dei suoi vigili.

A Belsito filava tutto liscio. Roberto Calderoli l'aveva chiamato a Roma nella sua segreteria. Nella Lega era ritenuto un esperto di economia e di finanza (non avevano ancora scoperto che i vari titoli di studio erano fasulli) e l'avevano designato per rappresentare il partito nella Filse e poi in Finmeccanica, dove era arrivato a ricoprire addirittura la carica di vicepresidente.

A Roma era entrato nelle grazie di Umberto Bossi che ogni anno invitava a Camogli in occasione delle immersioni e vestito da sub il piccolo e rotondo Francesco era ancora più buffo. Ma ormai era una potenza. Intanto imparava il difficile mestiere di tesoriere. E alla morte di Balocchi l'eredità passò a lui. Balocchi era Sottosegretario di Stato e anche Belsito entrò a far parte del Governo con la stessa qualifica, studiava la semplificazione. Bossi lo fece entrare anche nel Cerchio magico, il centro del potere.

Sergio Castellaneta mi raccontò che un giorno a Roma era già sull'aereo che non decollava perché aspettava qualcuno. Una macchina di Stato arrivò sino sotto la scaletta. A bordo c'era Belsito che andò a sedersi in prima fila. Aveva fatto finta di non aver visto Castellaneta ma l'ex deputato leghista lo salutò con un "Uhei, balletta".

Aveva ottenuto la scorta, che lo accompagnava anche al mattino quando portava a scuola i bambini (da via Fiasella, dove si era trasferito dal Biscione) al Vittorino da Feltre, due strade più avanti. Poteva parcheggiare in Liguria. Veniva invitato alle manifestazioni più importanti, era la più alta carica istituzionale in Liguria.

L'ultima volta l'ho incontrato al distributore di Boccadasse, dove si era fermato a fare il pieno alla sua Porsche Cayenne. Fu gentilissimo come sempre: "Elio, i miei numeri li hai. Se hai bisogno di qualcosa..."

Se invece di essere a San Vittore fosse a Marassi, andrei a portargli le sigarette.

2-FINE

 

Elio Domeniconi

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