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L’era post americana, l’Europa e l’epoca tra il secolo scorso e questo nel libro del senatore Gian Guido Folloni

Gian Guido Folloni e la copertina del suo libro

 

E’ stato un indimenticabile direttore di Avvenire (giornale Cei che ora vede alla guida Marco Girardo) ed un senatore illuminato. Eccellente giornalista ma ancor più capace di osservare, analizzare e descrivere le mutazioni della società italiana nel complesso, variegato e persino contraddittorio dopo guerra del secolo scorso e il divenire di questo, ricco di tecnologia e quindi profondi cambiamenti intellettuali, sociali, umani.

Tutto ciò è Gian Guido Folloni, che nel suo libro “L’era post americana”, sottotitolo “Il silenzio dell’Europa”, edito Guerini e Associati, ha messo per scritto questa grande esperienza accumulata nelle varie esperienze di vita.

Mai banale, sempre acuto e persino coraggioso è riuscito a creare un libro che potrebbe diventare un testo di storia contemporanea o comunque molto recente, in parte ancora immersa nella cronaca.

“Non è un libro di geopolitica, anche se di geopolitica ho finito per scrivere - afferma l’autore -. Tre anni fa ne avevo scritti e pubblicati altri due. Uno di racconti brevi, il titolo era “Città”. Il secondo percorre vent’anni di geo politica alla deriva. Tra il 1995 e il 2020 ho visitato molte nazioni. Come parlamentare incontravo autorità e governanti. Ma non esitavo a girare privatamente strade e luoghi incontrando la gente. Mai fidarsi dell’ufficialità. Titolo di quel libro: re in volution. Una rivoluzione volta al passato”.

Ed ora, spiega, ‘L’era post americana’ ne è la logica evoluzione. Noi siamo europei. Volenti o nolenti. Non c’entra l’Unione. Mi riferisco all’Europa. Non a trattati e burocrazie”.

Il libro, dice Folloni, “è una sorta di slalom, tra gli argomenti: democrazia, felicita, dolore, individualismo, guerra, regressi e fallimenti sociali, divisioni, demonizzazioni dei diversi. Franco Cardini (autore della prefazione mentre l’introduzione è di Daniele Lazzeri ndr) l’ha definito l’esame di coscienza di un’epoca. E’ stato il mio e spero serva a chi leggerà”.

“Possiamo dire che è il mio tentativo di dare una ragione – insiste il giornalista, scrittore e senatore - un perché, a ciò che sta accadendo: a noi, a chi sta dall’altra parte del Mediterraneo, dell’Atlantico, all’Asia e all’Africa. Siamo ancora una democrazia, anche se la gente a votare va sempre di meno? E perché non ci va? Perché i telegiornali sono pieni di femminicidi e stupri? Siamo felici o infelici? Perché? Il web, il 5G, i social, i like, le chat e l’intelligenza artificiale che cosa ci regalano in termini di umanità? Le stragi, i genocidi, le guerre. La guerra non volevamo ripudiarla? Perché è tornata signora, più che mai? Se la guerra è orrore, violenza, tragedia senza fine. Perché abbiamo inventato le guerre umanitarie?  Quella democratica. Quella preventiva. Chi da giustificazione e reputazione alla guerra?”.

L’Europa sempre più “sbrindellata”, l’Unione che sta perdendo l’orizzonte dei fondatori, che non ha voce. E l’era americana, del dollaro, della Banca mondiale, del Fondo monetario internazionale, dove sono finiti, costituiscono altri vibranti temi del libro.

Molte le risposte possibili per chi si definisce non senza orgoglio “democristiano, quale sono stato e sono”, mentre cita Ciriaco De Mita e Gianni Agnelli. Del primo dice: “quando non gli davano retta e sosteneva che non si capiva quel che egli volesse, De Mita usava dire: per capire bisogna volerlo.

Così è per le evidenze che, capitolo dopo capitolo, troverà chi lo legge”.

E il libro la lettura la merita, eccome.

Dino Frambati

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